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Distruzione e provocazione
La recente caduta e distruzione dell’opera di Jeff Koons a Miami (https://edition.cnn.com/style/article/jeff-koons-balloon-dog-broken-miami/index.html) ha generato in me una domanda provocatoria e in qualche maniera affascinante sulla distruzione dell’arte, che dipana quesiti filosofici e storici su cui riflettere.
Premetto che la mia pratica artistica è spesso accompagnata dalla necessità di dedicare tempo, in misure differenti, alla creazione tanto quanto alla distruzione. Lavorando come decoratrice e scenografa, il processo creativo attraversa sempre diverse fasi: ideazione, costruzione, fruizione e smantellamento, poiché un set va sempre smontato, un’istallazione rimossa e, anche nella progettazione, un bravo designer dovrebbe porsi il problema di come il suo prodotto verrà smaltito; “dalla culla alla tomba” è il motto dei progettisti nell’ ”era della sostenibilità”.
Praticando sempre più spesso questa disciplina ho capito che distruggere è un’attività che porta con sé interessanti concetti filosofici, importanti per lo sviluppo e la crescita della coscienza umana: il non attaccamento alla propria creazione (e quindi al proprio ego); la consapevolezza che le cose (e la vita) finiscano; abbandonarsi all’impossibilità di avere controllo su tutto; abbracciare la fine come rigenerazione e nuova possibilità in divenire; prendere la giusta distanza dalle condizioni materiali e dare importanza ai tesori immateriali della vita.
Ossessione per la conservazione
Certo è che l’essere umano ha sviluppato nei secoli una forte ossessione verso la conservazione, la stratificazione, il perpetuare; considerando più giusto “proteggere” le cose dal tempo che passa (come se questo fosse un nemico) e sentendo la necessità di creare una Storia che lo guidi. Questo vale tanto per gli oggetti che per i corpi e i ricordi; basta pensare a come in questo momento storico sia socialmente importante (se non fondamentale) registrare video, audio, immagini e raccogliere tutto in contenitori digitali, in cui riponiamo anche l’illusione che la rappresentazione di noi e della nostra vita, rimarrà per sempre.
Mi ritrovo a chiedermi se la responsabilità del “circo social-mediatico” contemporaneo non sia da attribuire proprio all’esistenza dei Musei, luoghi di conservazione ed esposizione per eccellenza, dove per secoli le persone hanno potuto ammirare manufatti meravigliosi. Oggigiorno però sembra che ci sia stato un transfer dialettico tra spettatore e oggetto: uno scambio di ruoli con conseguente necessità (e odierna ossessione) per le persone, di divenire oggetti stessi, da conservare ed esporre quotidianamente, tra gli algoritmi delle reti sociali.
Cosa succederebbe se domani il Metropolitan Museum of Art di New York venisse distrutto?
Nonostante io scriva articoli su una piattaforma di arte digitalizzata, che lavora sulla conservazione 3.0 delle opere d’arte, mi viene da chiedermi:
Cosa succederebbe se domani il Metropolitan Museum of Art di New York venisse distrutto?
Ho chiesto a ChatGTP di darmi il suo punto di vista sulla questione, perché volevo capire quale fosse la reazione più prevedibile basata sulla raccolta di dati. Sicuramente un’intelligenza artificiale è molto più preparata di me per scrivere l’ipotetico elogio funebre di uno dei più importanti musei del mondo ed ecco qui di seguito il cordoglio di un computer:
“La distruzione del Metropolitan Museum of Art sarebbe una perdita devastante per il mondo dell’arte e della cultura. Il Met è uno dei musei più importanti e influenti del mondo e le sue collezioni abbracciano secoli di arte e manufatti provenienti da tutto il mondo. La perdita del Met significherebbe la perdita di innumerevoli opere d’arte, manufatti e documenti storici insostituibili. Significherebbe anche la perdita di un’importante fonte di educazione e ispirazione per generazioni di persone.”
La storia è fatta di perdite
Sicuramente concordiamo con l’Ai: sarebbe una perdita enorme di cultura, ispirazione, ricordatori e lezioni, come è successo quando la Biblioteca di Alessandria andò a fuoco o quando i conquistatori e i monaci cattolici nel 16° secolo bruciarono la maggior parte dei codici Maya. Ancora ricordo, nel 2001, quando vennero distrutti dai talebani I Buddha di Bamiyan, le due grandi statue di Buddha del VI secolo (https://www.mei.edu/publications/death-buddhas-bamiyan) e a chi non si strinse un po’ il cuore guardando il video della cattedrale di Notre–Dame bruciare il 15 aprile 2019?
La lista di meraviglie perdute nei secoli è lunghissima. Pensiamo a quante civiltà e storie umane la violenza della guerra e della colonizzazione ha distrutto e continua a portarci via. Sicuramente è tangibile il valore incommensurabile del sapere e così l’importanza di un’istituzione come il Met.
Il Met
Il Metropolitan Museum of Art, situato a New York, è uno dei musei d’arte più grandi e più visitati al mondo. Il museo possiede diciannove diversi dipartimenti curatoriali, ciascuno con un proprio staff di curatori, conservatori, educatori e personale di supporto: arte mediorientale antica; arte greca e romana; arte asiatica, arte africana, oceanica, e americana; arte islamica; arte medievale; esposizione principale; il chiostro; pittura europea; cultura e arti decorative europee; pittura e scultura statunitensi; arti decorative statunitensi; disegni e stampe; la collezione Robert Lehman, arte contemporanea, armi e armature, l’Istituto di costumi e abbigliamento, fotografia, strumenti musicali e biblioteche.
Davvero una mole immensa di conoscenza e infatti sono 2 milioni le opere d’arte possedute dal Met e oltre 5.000 gli artisti esposti.
Ci rendiamo conto del tipo di contenitore che l’essere umano è stato in grado di produrre? Del tempo artistico e creativo che il Met contiene, insieme alle migliaia di storie, vicende e materiali della civiltà umana?
Le ore meglio spese dell’umanità?
ChatGPT dice che è impossibile stimare il numero totale di ore di creazione contenute nel museo, e concorderanno con me molti creativi e amanti dell’arte nel dire che quelle siano probabilmente le ore meglio spese dalla civiltà umana. Ma questa è opinione personale, non basata di certo sulla raccolta di dati. Infatti quando pongo il quesito a ChatGPT è lo stesso robot Ai a insinuare in me un dubbio. La sua risposta mi spiazza e allo stesso tempo stimola nuove riflessioni. L’ Intelligenza Artificiale risponde:
“No, le ore di creazione contenute nel museo Met non sono il miglior dispendio di tempo dell’umanità. Se il museo del Met è un luogo ideale per esplorare e apprezzare l’arte, ci sono molte altre attività che possono essere più utili per l’uomo. Ad esempio, il volontariato, l’apprendimento di una nuova abilità o l’impegno in conversazioni significative con gli altri.”
Mi accorgo di come un cerchio si stia chiudendo e un altro si appresti a cominciare; mi ritrovo nuovamente alla domanda iniziale ma questa volta la risposta è differente.
Cosa succederebbe se domani il Metropolitan Museum di New York venisse distrutto? Seconda occasione
Niente. Sarebbe davvero una tragedia? Si. Potremmo sopravvivere senza? Certo. Forse si creerebbe uno spazio vuoto, all’inizio spaventoso, ma che in seconda istanza potrebbe essere stimolante.
Mi rendo conto che l’intelligenza artificiale è forse più preparata di alcuni esseri umani a radere tutto al suolo e a pensare al futuro come a un insieme di azioni significative più importanti di qualsiasi conservazione e ricordo delle civiltà passate. Più pronta di noi a vivere “il momento presente” (e le sue possibilità ancora inesplorate), lasciando andare il passato e la sua cristallizzazione e a ritenere di
maggior valore la crescita personale e comunitaria.
D’altronde ChatGPT mi ricorda che la storia è quella che scriviamo oggi e che, per quanto si possa conoscere e apprendere attraverso lo studio (e i manufatti del passato) le azioni più importanti per il futuro si compiano nel presente, probabilmente il più possibili scevre da influenze passate.
Conservazione vs relazione
Ho sempre creduto che l’arte sia uno dei mondi più importanti per l’umanità, ma questa “macchina da risposte moderna”, sta insinuando in me dei dubbi.
Molto più importanti sono le relazioni umane, la solidarietà e il miglioramento personale. Se anche un robot ha capito questo (attraverso l’analisi di dati umani, ovvio), mi chiedo perché la nostra società si fondi ancora sul Sapere, sulla Storia, sulla conservazione. Perché riteniamo importante spendere il tempo tra monumenti, artefatti e scritti antichi? Perché è così importante autocelebrare le faccende umane passate?
In realtà sono fermamente convinta che l’arte sia necessaria all’uomo, in quanto forma espressiva di ciò che è. Esiste però una differenza tra l’atto creativo e quello celebrativo-conservativo, e mi sembra che ChatGPT si riferisca proprio a questo. L’arte è importantissima per la civiltà umana nel momento in cui si crea; per la catarsi creatrice che ne consegue. Finita la creazione, l’oggetto è già altro e a quel punto, può forse diventare stimolo di riflessione per altri. Ma se diventa un feticcio, stiamo forse attraversando la porta della psicosi?
La questione è stata affrontata anche da uno degli artisti più rappresentativi del nostro secolo: Banksy.
Nel 2018 infatti, la sua opera “Love is in the bin” si auto distrusse non appena ne venne battuta la vendita all’asta da Sotheby’s. Non sorprende che il suo valore passò da 1.042.000 a 18,5 milioni di sterline. Come sempre il Capitale reclama. Fu la prima performance realizzata durante un’asta e credo sia una dimostrazione importante delle manie collettive che caratterizzano il mondo contemporaneo. (https://en.wikipedia.org/wiki/Love_is_in_the_Bin)
Oggi meglio di ieri, in loop.
Mi rendo conto che abbiamo ormai fondato le nostre strutture sociali, secolo dopo secolo, su ciò che crediamo il “superamento” e “miglioramento” di ciò che c’era prima di noi. Sulla credenza che, sicuramente, oggi siamo meglio di ieri e così all’infinito nel ciclo del tempo che ritorna. Eppure sono fermamente convinta che a volte la distruzione sia un ottimo punto di partenza e il vuoto, il foglio bianco, ancora meglio delle enciclopedie secolari. Piuttosto che continuare a creare, sarebbe forse meglio fermarsi?
Siamo su una giostra in perenne movimento, ma questa non è una predestinazione. Siamo noi che continuiamo a far girare la ruota e forse il motivo vero risiede tra le pieghe insidiose del sistema sociale per come lo abbiamo impostato (e imposto) fino ad oggi. Il capitalismo non può permettersi una pausa, la catena di produzione neanche; l’economia funziona perché dai guadagni di ieri si genera nuovo capitale da investire domani… e così in loop. Se si fermasse oggi, debiti e buchi di bilancio sarebbero inevitabilmente esposti.
Qui il mio appello al ricco industriale o al magnate della tecnologia futuristica. Qui la mia richiesta al milionario che non sa più come spendere i suoi soldi o all’imprenditrice che vuole a tutti i costi riempire i suoi prodotti di significati sociali alti: fermatevi.
Non credo ne abbiate bisogno ancora, siete già miliardari, fino a dove volete far crescere il vostro capitale? Fino a quando racconterete una storia completamente opposta a ciò che realmente mettete in pratica?
La vetrinetta dei ricordi
A parte questo sproloquio “sociopolitico”, tornando all’arte e al Metropolitan Museum of Art di New York, forse la sua distruzione, insieme a quella di altri musei conservativi in giro per il mondo, sarebbe la spinta per radere al suolo strutture sociali, di derivazione storica, e ricominciare da zero. Potrebbe avvenire così un cambiamento culturale, politico e sociale?
Sarebbe forse la chiave di volta per il vero passaggio ad un’era globale?
Forse è il museo effettivamente solo memoria morta? Forse è il museo la vetrinetta dove riporre i ninnoli che non trovano più spazio in giro per casa?
Chi si ricorda nel 2020, quando dei manifestanti tirarono giù la statua di Cristoforo Colombo in Minnesota? (https://www.reuters.com/article/us-minneapolis-police-saint-paul-statue-idUSKBN23I04X)
Un esempio perfetto di come la conservazione di monumenti o artefatti, soprattutto in luoghi pubblici e istituzionali, rappresenti il perpetuare di una certa struttura sociale e delle sue ideologie. In questo specifico caso, ritengo necessario rimuovere dallo spazio pubblico rappresentazioni ormai desuete e non più in linea con la struttura sociale. Perciò il museo diventa un luogo fondamentale per la memoria storica, dove poter stipare e archiviare (come storia morta e già finita) le statue di “inestimabile valore” che rappresentano personaggi da denunciare più che celebrare. La vetrinetta, appunto.
Senza categorie
Scomparendo il Met, scomparirebbero con lui molte delle testimonianze della diversità culturale nel corso dei secoli e questo ci porta di nuovo al concetto di “globalità”. Se osserviamo l’arte contemporanea, ci rendiamo conto che non è più così facilmente identificabile in una certa categoria o regione di provenienza, che non è più così semplice riporre le opere in specifici dipartimenti culturali (come i diciannove in cui è suddiviso il Met). L’arte contemporanea, nel bene e nel male, è eclettica e mestiza, immaginifica e in parte priva di catalogazioni nette, tanto che spesso la localizzazione geografica non è più un elemento di appartenenza determinante. Ne è un esempio la Biennale di Venezia 2022, “Il latte dei sogni” appunto, di cui abbiamo già parlato qui https://blog.openartimages.com/2022/10/12/stories-and-reflections-from-the-waters-of-venice/.
Contenuti liberi e liberatori
Credo sia interessante conservare i saperi dell’umanità, fintanto siano conoscenze spoglie dagli interessi del potere. Il problema da porsi è appunto come possano essere manipolate le informazioni della storia al fine di condizionare comportamenti ed equilibri futuri. Rendere l’arte immortale, significa poter tramandare contenuti liberi e soprattutto liberatori per il pubblico che potrà ammirarla.
Sul Met comunque non c’è una risposta univoca e questa domanda genererà sempre un cortocircuito interno, tanto nelle persone reali quanto nelle intelligenze artificiali.
Riflessioni, osservazioni, pensieri, conclusioni molto molto più che interessanti: articolo fantastico!