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Primo giorno di novembre, il giorno dei morti e dei santi. Si dice che sia il giorno in cui si assottiglino le barriere tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti; la sensibilità e l’energia plutoniana si intensificano, come appunto lo scorpione ha appena iniziato il suo viaggio astrale nella volta celeste. Siccome non sono una storica dell’arte né una critica, anche perché di criticare chi si dedica a fare arte non ho proprio voglia, allora provo ad utilizzare l’arte a mio vantaggio e cercare in essa il diversivo di cui avrei bisogno oggi: potrebbe essere il terapeuta che per il momento non posso permettermi o la storia onirica in cui rifugiarmi e anche semplicemente un gioco per passare il tempo. Immagino di avere un mazzo di carte infinito, composto da tutte le immagini artistiche che esistono in tutta la storia dell’arte e da questo mazzo, pescare quelle che mi servono. Possiamo usare Open Art Images come se fosse il nostro mazzo, e in effetti in questa fantastica piattaforma, si può fare la ricerca per parole chiavi così da poter trovare tutti i contenuti dietro un unico tema.
Immaginando tutte le persone che ieri notte si sono trasformate in altro, si sono truccate di rosso e nero, sono discese nell’atmosfera tenebrosa di Halloween, mi viene in mente il gioco adatto a questo primo giorno di novembre: cercare le opere d’arte perfette per Halloween e per queste sensazioni sottili di energie spiritiche che sento nell’aria. Quale opera artistica potrebbe essere la maschera perfetta per Halloween?
Cominciamo.
Penso che se c’è un artista degno di una maschera di Halloween questo è Francis. In effetti il suo è il tipico scenario da film horror psicologico, dove l’assassino è cresciuto traumatizzato e represso dalla società e solo attraverso il contatto con la carne e il sangue può esprimere il suo disagio. Nel film di Bacon, c’è bisogno di tirar fuori le viscere fisiche e il dolore materiale per gestire quell’acuto dolore mentale, che è impalpabile ma genera un enorme vuoto nero dentro i corpi mezzi mutilati.
L’estetica di Bacon permette di dar forma al dolore: dopo esserci soffermati sui suoi quadri, è come se tutte le angosce del mondo fossero accettate ed evidenti. I suoi trittici e i suoi studi, fatti di mostri e carcasse, di rosso e nero, sono il racconto più oscuro dell’anima, racconto che la società reprime e che forse solo nella notte di Halloween, possiamo trovare il coraggio di mostrare. Il corpo e le viscere sono macchie indefinite sulla tela, sono scarabocchi in movimento, gesti di follia sul letto dell’ospedale psichiatrico che sta dentro la nostra testa. Il ritratto di Innocenzo X è l’iconografia perfetta per un personaggio dell’horror o di un girone dantesco, urlante, graffiato e graffiante, che quasi si dissolve imprigionato nella disperazione.
Da qui a Munch il basso è breve ed è impossibile non citare uno dei quadri più pregni di angoscia della storia: L’Urlo. Anche se negli ultimi anni, a forza di meme e parodie, l’Urlo mi fa venire in mente un po’ l’assassino con la maschera di Scary Movie, è indubbio che se qualcuno ha mai vissuto un attacco di panico nella sua vita, sa che questo somiglia moltissimo a ciò che Munch ha ritratto sulla tela. La distorsione del tempo e dello spazio, i capogiri, la sensazione di morte impellente. Anche lui ottima maschera per raccontare il disagio della società contemporanea.
Un’ artista, le cui atmosfere ricordano quelle di un film horror è Frida Khalo. A causa del legame indissolubile tra la sua vita e la malattia, alcuni aspetti del suo immaginario visuale, sono perfettamente in tema per Halloween. Proprio ieri sera ero ad una festa, e l’amica di un’amica si era travestita da Frida in versione capelli raccolti da un cerchietto di fiori. Mi viene in mente oggi che forse sarebbe invece una maschera perfetta, l’immagine di Frida del quadro “Colonna Rotta” del 1944, in cui la donna appare con i lunghi capelli sciolti su un busto bianco che le scopre i seni, mentre una colonna di pietra crepata la squarcia in due fin sotto il mento e tanti chiodini sono conficcati nel suo volto e nel suo corpo. Lacrime bianche sulle guancie. Anche il quadro “Le due Frida”, gemelle sanguinanti e con il cuore aperto, ci riporta al doppio, al tema dell’ombra e della dualità molto presente nell’horror (le gemelline di Shining per esempio). Quelle di Frida sono immagini del dolore e della fatica, e nel suo simbolismo che parla forte e chiaro, troviamo letti di ospedale, busti correttivi, frecce conficcate e tagli sulla pelle, sangue e viscere anatomiche che danno vita a un iconografia davvero perfetta per la notte delle streghe.
Sempre mosso dal legame tra vita e malattia, altro artista dell’horror è Francis Goya, il cui stile comincia a incupirsi proprio a partire dal1793, quando una grave malattia mai diagnosticata lo lasciò sordo. Il pessimismo di questo periodo culmina nella serie Pitture nere del 1819-1823, quattordici opere murali caratterizzate da toni cupi, stregoneschi e luttuosi che raccontano violenza, disperazione, malvagità e desiderio. Tra queste il famoso “Saturno che divora i suoi figli”, scena cruda e diretta di cannibalismo, sangue e follia. Poi “il Sabba delle streghe”, il caprone nero che parla, Satana su tela.
Se dovessi poi arredare una casa per ospitare una festa di Halloween o girare un film horror, sicuramente userei uno dei quadri della serie Tagli di Lucio Fontana. Nella loro semplice eleganza, nascondono un che di macabro, forse perché ci ricordano i gesti masochistici di chi cerca di espiare il dolore attraverso la sofferenza fisica. E non sembra molto diverso nelle opere di Fontana, in cui l’arte si lega alla gestualità dell’artista di squartare, rompere, disvelare il mistero. Da quelle immagini silenziose e solitarie appese al muro, potrebbe facilmente colare del sangue o improvvisamente uscirne uno spirito del passato, pronto a terrorizzarci.
Altro sfondo perfetto per un film da collezionista di ossa è l’arte scenografica di Jannis Kunellis: le sue istallazioni sono un mix di arte povera e materiali industriali; pesanti, ripetitive, scure, animate perfino dalla presenza di animali (nel 1969 l’installazione-performance con i Cavalli legati alle pareti della galleria L’Attico), vivi e imbalsamati, ma anche squartati, come l’esposizione del 1989 all’Espai Poblenou di Barcellona , dove installa quarti di bue appena macellati su ganci a lastre metalliche illuminati da lanterne a olio.
Ciò che ci porta al macabro, al tetro, è la scelta filosofica dei materiali: ferro, piombo, carbone, sacchi di iuta, stoffe scure, lamiere, disposti nello spazio in modo tale da invaderlo e sospenderlo. Fluttuanti sopra le nostre teste, sono oggetti semplici che sembrano raccontare storie complesse legate al noir, al mistero, e al dolore: tante giacche disposte, come se i loro proprietari fossero dei soldati in battaglia o persone nei campi di sterminio, pietre e sacchi appesi, il cui contenuto fa subito pensare a pezzi di cadavere; macchie e schizzi, metallo, accartocciamenti.
Ecco che mi sono venuti in mente tanti spunti per nuove maschere e mi chiedo perché non si trovino in giro più travestimenti ispirati all’arte. In fondo, consapevoli o meno, molto del nostro immaginario visuale collettivo, anche contemporaneo, e la nostra educazione al guardare, provengono da secoli e secoli di storia dell’arte, di iconografia trasmessa di pennello in pennello. Perciò, insieme agli scheletri e agli zombi, potremmo ispirarci anche a Goya, Kunellis, Frida ecc. Ricordiamoci che l’arte ha aiutato tante persone a tirare fuori il dolore e la follia, la tristezza e la paura, trasformandoli e sublimandoli. L’arte potrebbe averci salvato da tanti potenziali serial killer e se impariamo ad usare e potenziare ancora di più questo medium, in futuro potrebbe esserci ancora più arte e molta meno violenza.
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