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In questo momento storico di catastrofi che sembrano imminenti, mi ritrovo spesso in mezzo a discussioni sul futuro, con colleghi, amici e persone di passaggio. I soliti discorsi da bar, che si fanno densi e animati quando ci si addentra nella tematica ambientale e climatica. Irrimediabilmente il pessimismo si impossessa della conversazione ed ogni partecipante, racconta teorie e punti di vista, su ciò che ha letto e sentito dire sullo scenario che ci si prospetta da qui ai prossimi 20, 30, 40 anni.
Scioglimento dei ghiacci, inversione dei poli, desertificazione, scienziati che avvisano con le lacrime agli occhi, capitalismo imperante, la plastica, il nucleare, l’energia solare, tifoni ed uragani, estinzione umana.
Ogni volta che si intraprende una discussione di questo tipo, so già che finirò col deprimermi, col sentirmi da schifo e colpevole per come la specie umana abbia irrimediabilmente scritto così il suo destino. Negli ultimi tempi cerco il più possibile di evitare di stare in mezzo a questo tipo di discussioni. Appena sento la parola “cambiamento climatico”, repentinamente la voglia di scappare si impossessa di me.
Non fraintendetemi, sono dispiaciuta e arrabbiata per tutto quello che sta succedendo nel mondo e vorrei che la mia rabbia potesse invertire lo scorrere del tempo e tornare a quando la terra era una giungla incontaminata e idilliaca, quando quella “Joeux de vivre” dipinta da Matisse, regnava silente sul nostro destino. Ma andiamo verso l’entropia e il Signor. Amazon non commercia ancora la macchina del tempo.
Così mi consolo pensando che in qualche maniera dovrò morire e che, anche se una catastrofe ambientale non è il mio scenario preferito, penso che almeno sarò in compagnia.
Se il punto di vista della scienza sulle sorti del pianeta non può far altro che deprimermi, da qualche anno a questa parte, ho preferito rifugiarmi nelle riflessioni e speculazioni artistiche, di chi, attraverso la poesia e l’estetica, ci espone un punto di vista audace e sensibile sul tema ambiente/natura/antropocene, non tanto con lo scopo di cambiare il finale della storia, ma con la volontà di regalarci momenti di rifugio in cui cullarci davanti alla maestosità della natura, per ricordarne il potere e così il nostro ruolo di piccoli animali di passaggio su questo mondo.
D’altronde, non posso far altro che rimuginare sul fatto che in molti già ci avevano avvisato, e tra questi, circa 50 anni fa, un gruppo di artisti dagli Stati Uniti d’America, aveva iniziato una ricerca estetico/sociologica sul ruolo della nostra specie e sull’utilizzo della pratica artistica, come risorsa per rimettere in discussioni luoghi, materiali, tecnologie e intenzioni dell’arte, ma anche delle risorse umane stesse.
Nell’ottobre del 1968, presso la Dwan Gallery di New York, l’artista Robert Smithson, organizzava la mostra Earth Works, ispirata ad un romanzo di fantascienza di Brian W. Aldiss, ambientato in un futuro in cui persino il suolo è ormai un bene prezioso. Ecco che qualcuno iniziava ad avvertire i primi sentori di catastrofe climatica.
La rassegna consisteva in uno sguardo pessimistico sul futuro dell’America e del suo patrimonio ambientale; quattordici artisti, per lo più giovani e poco noti, esposero opere troppo grandi o difficili da trasportare, tanto che la maggior parte di esse venne mostrata solo attraverso fotografie.
Un anno più tardi, nel 1969, esceil film di Gerry Schum Land Art che documenta gli interventi di Michael Heizer, Walter De Maria, Robert Smithson, Richard Long, Dennis Oppenheim, Barry Flanagan e Marinus Boezem: i primi artisti ad essere così definiti Land Artist.
“ La Land art viene identificata come una forma d’arte contemporanea caratterizzata dall’intervento diretto dell’artista sul territorio naturale, inizialmente negli spazi incontaminati come deserti, laghi, praterie, ecc. Le opere hanno spesso carattere effimero e sono soggette ai mutamenti del tempo.”
Quello che i Land Artist ci stavano gridando era di porgere il nostro sguardo e la nostra attenzione al tema ecologico e all’impatto dell’azione umana sul mondo circostante. Con l’atteggiamento un po’ macho dell’uomo che non deve chiedere mai ma allo stesso tempo la sensibilità per sperimentare e capovolgere il punto di vista “tradizionale”, i Land artist si impossessarono di una forte gestualità creativa e degli spazi infiniti del territorio Americano, cominciando a scavare, tracciare, impilare e spostare masse di materiali organici, pietre, sabbia, terra, cemento… a lavorare con il simbolismo naturale e geometrico, a raccontare visuamente l’effetto dell’azione umana nel tempo.
Questa corrente ha sicuramente rivoluzionato ancora una volta gli strumenti del fare artistico, contenendo in sé un po’ della poetica dell’arte povera e primitivista, un po’ dei principi ecologisti della rivoluzione culturale del ’68, un po’ della forza gestuale dell’impressionismo astratto e dell’arte performativa e si è via via diramata in differente forme, correnti, sperimentazioni che vedono uomo e paesaggio in un continuo binomio di riflessione artistico/culturale. Dal mio punto di vista inoltre, prendendo in considerazione le pratiche della Land art (e non la corrente artistica in sé), possiamo dire che queste rappresentino alcuni dei primi metodi di ricerca che l’essere umano ha sperimentato da quando ha iniziato ad interagire nell’ambiente, ancora prima che la definizione di arte stessa fosse concepita.
Penso quindi che insieme ad altri, anche i Land Artist ci avevano avvisato, dicendoci che l’arte (come la politica, la cultura e gli altri aspetti della vita) avrebbe dovuto prendere coscienza del suo potere di intervento circa il futuro del mondo e della necessità di cambiare materiali e metodi produttivi, in favore del bene ambientale, della vita a misura d’uomo e non delle macchine della produzione di massa. Così, se cerchiamo delle risposte (utopiche?) su come invertire le sorti del mondo; potremmo studiare la Land Art e i suoi principi, osservare le opere dei Land Artists e lasciarci trascinare dalla loro manualità e inventiva.
Ecco quindi una lista di quello che i Land Artists ci avevano già detto su come intervenire nelle dinamiche globali, riscoprire possibilità diverse circa la realtà e che potrebbero esserci utili per cercare ispirazione e coraggio nell’andare avanti in questo momento storico dal futuro incerto:
Utilizzare materiale organico o della natura:
Anche se la definizione di Land art si è ampliata negli anni, comprendendo qualsiasi tipo di intervento artistico nel paesaggio, una delle idee originali più forti di questa corrente è l’utilizzo di materiali naturali e quindi il più possibile non tossici, poiché l’opera rimarrà nella natura e si fonderà con essa.
Ricerca sui materiali
Osservando a fondo i materiali naturali a disposizione e studiandone le caratteristiche come la texture, il colore, la composizione, le capacità materiche e manipolative, possiamo scoprire le infinite possibilità che un materiale può regalarci e rivalutarne il suo utilizzo in diversi campi.
Richiamo ai sensi e alle sensazioni
Immergerci nella natura per lavorare con la terra ci porta ad utilizzare tutti i sensi e permette di riscoprire il contatto con la nostra parte naturale ed animale. Questa operazione è curativa, meditativa e rigenerante per il corpo e per la mente di chi crea ma anche di chi contempla l’opera d’arte..
Ridimensionare lo spazio di azione
I Land Artists portano l’arte fuori dalle gallerie, fuori dagli spazi chiusi delimitati dai musei e decidono di lavorare su larga scala per ridefinire lo spazio a loro gusto. Non ingabbiano le opere e quindi neanche il corpo dello spettatore, che può osservare un’opera da molteplici punti di vista e in molteplici situazioni. La città non è più il solo luogo dedicato all’arte ma atri scenari si rendono possibili.
Cambio di prospettiva
Si può trasformare la “funzione”degli elementi naturali e quindi decidere che possiamo utilizzare la terra per dipingere, le pietre per creare uno spazio, i fulmini per fare una performance.
Opera che si confonde con la natura
Molti Land Artists vedevano l’azione dell’uomo come affermazione della propria esistenza sul paesaggio.Nonostante ciò, possiamo riflettere sulla possibilità che l’opera possa mimetizzarsi con l’ambiente ed essere più o meno riconoscibile. La traccia dell’azione umana può quindi anche diventare invisibile e trovare un compromesso equilibrato con l’ambiente.
Un’arte deperibile ed effimera
La Land Art è un’ arte fatta con elementi della natura o nel contesto naturale e quindi di per sé transitoria, temporanea e comunque suscettibile alle trasformazioni da parte dell’ambiente (meteorologiche, naturali, temporali). Ciò ci fa riflettere su come anche la vita sia effimera, cambiante e come niente duri infinitamente.
Un’arte “non vendibile”
Decontestualizzando l’arte dal museo e utilizzando materiali naturali, stiamo riformulando anche la relazione dell’arte con il sistema. Dare un prezzo ad un’opera effimera è più complesso; spostare un’opera radicata in un dato territorio ci pone di fronte all’esigenza di ripensare il modo di fruizione artistico, i luoghi dell’arte e l’idea stessa di valore commerciale.
Un’arte poco elitaria
Utilizzando materiali reperibili facilmente da tutti, possiamo definire la pratica della Land Art come arte alla portata di tutti, che non è vincolata per forza alla necessità di grandi investimenti o materiali dispendiosi.
Queste riflessioni, che i Land Artist riportano nella pratica artistica, sono oggi applicabili a tanti metodi produttivi e a tanti ragionamenti umani sull’interazione con l’ambiente. Forse non ci salveremo e forse è definitiva la sentenza che abbiamo imposto, a forza di scelte sbagliate, sulla nostra specie. Possiamo quindi goderci gli ultimi decenni tentando di ricostruire il legame di rispetto verso questa terra che ci ha dato la vita. Anche le intenzioni poetiche, per quanto solamente simboliche, sono importanti per fare la pace e chiedere scusa al territorio che abbiamo saccheggiato. I rituali artistici, da sempre presenti nella vita umana, sono la celebrazione della nostra presenza e simbiosi con il mondo. La Land Art difatti, ci ricorda quel rituale ancestrale di cui oggi, come in tante generazioni prima di noi, la specie umana ha inevitabilmente bisogno:
un rituale di sfida creativa e allo stesso tempo di simbiosi con la natura.