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Oggi voglio parlare di Louise Bourgeois, poiché nella sua biografia mi sono spesso vista riflessa e ho trovato vicende che in qualche modo ho sentito mie. La sua è la storia di una bambina sopraffatta dai suoi genitori, i cui drammi, tradimenti, e intrighi ne hanno segnato la vita per sempre.
C’era una volta una bambina francese, figlia di restauratori di arazzi, che fin da subito imparò l’arte del restauro e imparò anche che la famiglia può essere un luogo di incomprensioni e segreti, la casa un covo di angoli bui e ragnatele.
Il padre di Louise aveva un’amante, che era la tata di famiglia, e la madre di Louise sapeva e fingeva, ignorava, accettava. Louise non capiva, soffriva, sentiva il peso dei sensi di colpa perché era proprio la sua tata, proprio lei, a creare quella frattura nella vita coniugale. Per anni Louise assistette al menage familiare, prima tenendo per se i segreti del padre, poi assorbendo le disfunzionalità che questo implicava. La sofferenza si immagazzinava nell’anima della piccola Louise, il peso di quegli eventi era troppo forte e la portò fino alla rottura…
Poi crescendo, con il tempo, Louise divenne artista, perché l’arte le permise di analizzare la sua storia e quella della famiglia, le permise di salvarsi e trasmutare i mostri invisibili in scultura, pezzi di materia.
La ricerca di definizione dei ruoli e delle identità familiari diventa frammentata e difficile in un contesto di dinamiche nascoste e drammatiche quali quelle da lei vissute.
Come si può essere una brava figlia quando i genitori non sono altrettanto? Eppure la società ci chiede di mantenere intatto questo status a dispetto dei segreti e dei giochi di ruolo dolorosi.
Lo stretto e vincolante rapporto madre-figlia rende Louise erede di altrui ferite e responsabilità che la conducono a tentare il suicidio. Dopo quel momento inizia il suo allontanamento, che la condurrà oltre oceano in America, dove, distante dai fatti, comincia, attraverso l’opera artistica, la ricomposizione e il restauro dei frammenti che i trauma hanno lasciato: un vero e proprio taglia e cuci dei ricordi.
Questo laborioso lavoro inizia dal corpo e dal simbolo familiare, la donna-casa che dovrebbe rappresentare protezione, quella però mancata alla piccola Louise, per cui la casa è stata prigione di dubbi e tradimenti, la donna tradita e traditrice.
Di fronte a fatti sconvolgenti la mente si protegge dimenticando. I frammenti rimasti e confusi, vengono ricomposti attraverso totem-feticci che restituiscono potere di azione e catarsi dal male che è stato. Le sue sculture ricordano pezzi di corpo e tessuti organici su cui si posa e si rilascia il dolore. Seni e vagine rappresentano l’amore e la sua corporeità, lussurioso tradimento, anche i ruoli familiari: il padre, la madre, l’amante. Infatti Louise diviene creatrice e protettrice del fallo, che rappresenta i segreti paterni di cui è stata testimone e custode. Ma poi nuovamente distrugge il padre, lo fa a pezzi nel suo diario e nelle sue opere, così può liberarsene. Con il rosso, le stanze, la rappresentazione della madre tessitrice (la donna ragno), dichiara i segreti materni, li urla fuori di sé: libera l’anima dagli scheletri morti che i genitori le hanno lasciato in eredità.
Lungo tutta una vita, dando forma scultorea alle paure e ai traumi del passato, L. Bourgeois può affrontarli faccia a faccia e ricostruire la realtà di ciò che veramente è stata: vittima sacrificata.
L’arte è servita a Louise per redimere e riemergere dal pantano dei fatti, le ha permesso di rinascere sotto nuova forma e non più essere colei che le scelte altrui hanno plasmato. L’arte è una delle strategie che l’uomo utilizza per guarire e riappropriarsi di sé, perché la creazione ci riporta ad una posizione di potere. Possiamo scegliere il modo per raccontare, porci dentro e poi fuori dagli eventi in un continuo scambio di punti di vista. Così veniamo in qualche modo sanati: tirando il trauma fuori di noi, osservandolo e rendendolo condivisibile. La condivisione insieme all’accettazione, è uno dei primi mezzi di guarigione.
Ci sono artisti che necessitano dell’arte come mezzo di sopravvivenza psicologica per superare la realtà che è stata ed affrontare quella che sarà. Per questi fare arte e ciò che li tiene in vita, motivo di socializzazione, continuum temporale di esistenza.
Tirare fuori, creare, porsi attivi, può guarire alcune delle frustrazioni quotidiane o delle ferite interiori.
Chiamiamo creazione quel moto che porta l’interno verso l’esterno, costruendo un ponte in grado essere percorso anche al contrario e portare l’esterno all’interno. Ogni singolo individuo costruisce vari ponti nell’arco della sua vita: tra se e la comunità da cui proviene, tra sé e il mondo, tra sé e sé stesso per scoprirsi e comprendersi meglio.
Ogni artista attraverso le sue opere crea quel ponte che rimanda la sua identità specchiata, modificata, spezzettata, studiata; affinché da strumento personale, diventi mezzo di conoscenza archetipica e universale.
Il mondo di Louise riflette il perbenismo borghese e i danni che ha fatto. L’illusione che tutto debba quadrare nella cornice e sembrare perfetto ha creato tanti mostri e mietuto tante vittime. Accettare l’imperfezione è un grande esercizio di realtà e lavorare con ciò che realmente si possiede, senza afferrarsi all’illusione, è l’unico modo per riscattarsi e cambiare il proprio destino. I silenzi, le bugie, i non detti sono la morte dell’identità, sono la mortificazione dell’io e l’annullamento delle particolarità, dell’unicità che ogni storia possiede. La sua scultura è imperfetta, mutilata, fatta a pezzi, esattamente come la sua infanzia, ma lei non ha più paura, e re materializzando il suo passato e i suoi protagonisti può finalmente agire su essi.
L’influenza che la storia familiare ha su ognuno di noi è immensa de essere bambini consapevoli delle proprie radici permette di essere adulti con una percezione positiva di sé e con una sana autostima. I taboo, la vergogna e le dinamiche disfunzionali hanno seminato per il mondo individui feriti, insicuri, incoscienti, malati e tutta questa follia la vediamo quotidianamente nelle frustrazioni delle persone, nella maleducazione, nella depressione, nelle malattie psicosomatiche, nella rabbia e nella tristezza accumulata nell’anima. Si chiama trauma qualche cosa che arriva e sconvolge, dopo di che nulla è più come prima; e a mutare non è solo la realtà circostante ma anche la percezione nel vedere e interagire con il mondo e con noi stessi. Le risposte ad un trauma sono innumerevoli e molto personali perché ogni singolo individuo genera le sue proprie strategie per sopravvivere e adattarsi all’evento traumatico. L’arte sicuramente è una di quelle risposte positive, che andrebbero stimolate e implementate. Per questo è importante fare arte, studiare arte, scrivere di arte e dare la possibilità e gli strumenti alle persone di raccontarsi e affrontarsi attraverso questo mezzo.
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