Di come l’arte sia il mezzo dello spirito per incarnare la materia
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Cos’è la spiritualità ragazzi? È qualcosa di intimo o pubblico? Materiale o immateriale? È insegnamento o esempio?
Penso che sia il caso di finirla qui, questa incessante ricerca sullo spirituale che va molto di moda dagli anni ’60 fino ad oggi e che propone 100 modi più 1 per essere rivoluzionari e mistici. Abbiamo sentito tanti racconti provenienti dalla Bibbia, dal Corano, da Buddha, da Krishna, dai Tarocchi, da Angeli e Arcangeli, da Osho e dai biscotti della fortuna. E adesso credo proprio sia il caso di finirla.
Lo dico perché forse ho trovato davvero il mio Guru, una persona che non si è mai definita tale ne ha voluto emergere con insegnamenti o frasi motivazionali, ma che pazientemente ha lavorato, prolificato e sperimentato, e ha aspettato il tempo giusto per essere compresa ed uscire allo scoperto. Ed io la ringrazio, perché forse rappresenta oggi, l’esempio più maturo di spiritualità che io abbia mai incontrato lungo il mio cammino.
Hilma af Klint. Non vorrei aggiungere altro alla definizione di spirituale, se non la sua storia e le sue immagini.
Lei è proprio la donna-madre in un mondo di uomini, è l’umiltà in un mondo di apparenza, è la natura che ritrova spazio tra l’artificio, è la scomposizione dove tutti vogliono solo definirsi, è la sperimentazione e il punto di domanda dove tutti pretendono di dare risposte.. e non credo ci sia miglior approccio alla spiritualità (e alla vita) oggi.
Hilma af Klint è rimasta in incognito per 44 anni, ovvero dal giorno della sua morte a quello della sua resurrezione, nel 1986, quando per la prima volta le sue opere furono esposte nel County Museum di Los Angeles e fu chiaro a tutti che la storia dell’arte dovesse essere riscritta.
Senza scalpore ne malizia e senza neanche essere in vita, ecco che una donna, dopo aver vissuto l’intera vita nel quasi anonimato, soffia il primato di “Primo pittore astrattista” a Kandisky ed arriva a creare un approccio visuale e grafico, per prima rispetto a tutto un movimento artistico, famoso, di uomini.
L’astrattismo è l’anima di Hilma, anzi, Hilma è l’anima dell’astrattismo, ovvero è stata lei quel nuovo silenzioso gesto creatore, che nessuno però al tempo poteva vedere, ma che sicuramente è entrato in quel grande lago che è l’inconscio collettivo, detto tra noi spiritualisti, ed è riemerso più in là, nelle opere di Modrian, Albers, Klee, Kandisky.
Insomma, come spesso accade alle donne, di avere l’idea ma non avere il mezzo; e come accade a quel grande albero che cade in una foresta sperduta senza che nessuno ne senta il boato.
Ma questo oggi poco importa, e non importava neanche alla prima pittrice astrattista della storia, perché lei si, era davvero una persona spirituale. A chi conosce l’arte dello spirito, non importa fare rumore, generare gossip, uscire allo scoperto. Lei ha avuto il suo grande riconoscimento, senza dover sgomitare, né inseguire il sogno di una grande carriera, o primeggiare su altri o decretare la nascita di un movimento: Hilma ha dipinto l’invisibile, ciò che non possiamo vedere ma esiste, un po’ come se lo avesse creato, e forse questa è ancora miglior definizione del suo “stile” rispetto a quella di astrattista.
Perché le sue forme e figure, non sono gesti o scelte cromatiche casuali, ma la rappresentazione di concetti antropofisici, teosofici e di sedute meditative spirituali. Nel suo immaginario visivo troviamo infiniti richiami alle forme naturali come la catena a doppia elica del DNA, petali e foglie, sole e luna, l’uovo (simbolo assolutamente tipico in Dalì molti anni dopo), la cellula e il clitoride (o qualcosa di molto simile a quella rappresentazione che vedo spesso tra femministe odierne per indicare le zone del piacere). E poi ancora i colori dello spettro luminoso (o dei chackra), il simbolo della piramide e della spirale che ritorna, mandala e fiori di loto, orbite ellittiche di pianeti o di atomi, quel simbolo a otto dell’infinto che troviamo nei tatuaggi moderni e anche nel logo di una nuova importante multinazionale; e ancora ripetutamente la dualità: nei contrasti, nei vuoti e pieni, nelle intersezioni tra figure. Insomma, proprio come recita una delle leggi della Metafisica “Come in alto, così in basso/come sopra così sotto” allo stesso modo la mano di Klint sta descrivendo su carta le costellazioni del cosmo, i movimenti della galassia, le mappe dell’esistenza.
Non usa parole ma segni, gesti per raccontare lo spirituale; reinterpreta insegnamenti di altri ma non se ne riempie la bocca. Invece li prende e li traduce con le forme del mondo, li interpreta attraverso i suoi colori patinati, delicati, antichi. Non ha dovuto fare grandi comizi di fronte alla folla, ne scrivere trattati; ha solamente seguito il consiglio che uno dei suoi mentori, Rudolf Steiner, le aveva dato . Ha aspettato, rimanendo in disparte sulla sua isola (isola di Munsö), finché il mondo è stato pronto a riceverla, a capire le informazioni che stava trasmettendo.
Hilma af Klint infatti si definisce un tramite e questo è esattamente ciò che la spiritualità incarna: essere un mezzo dello spirito, che passa attraverso di noi per giungere dove deve arrivare. Noi non siamo lo spirito, né la saggezza, né le risposte, ed è per questo che i veri mistici sono inattaccabili e fanno paura a molti: perché sono distaccati dai loro insegnamenti, che non gli appartengono, ma che appartengono al divino. Come altoparlanti sulla terra, essi, trovano il mezzo che più gli appartiene per arrivare a gli altri.
L’altoparlante di Hilma af Klint ovviamente è la pittura. I contenuti delle sue immagini arrivano sia dalla scienza, che all’inizio del ‘900 si stava addentrando sempre più nell’invisibile attraverso le teorie della meccanica quantistica, di Freud e di Einstein, ma anche da esperienze mistiche generate in compagnia di altre 4 donne nel gruppo “The Five”, con cui settimanalmente medita e fa esercizi spirituali entrando in contatto con energie celesti che la guidano nelle sue creazioni. Vede la spiritualità come un gesto che però si inserisce perfettamente nel quotidiano, nelle azioni reali che l’uomo può fare; nel dipingere, ma sicuramente anche in tante altre azioni della vita, si sente guidata da una coscienza superiore.
Far attraversare il gesto umano da qualcosa di divino, è un’arte già di per sé; e credo che lei sia l’esempio perfetto del potere spirituale che ha l’atto creativo.
Infine, quello che poi mi ha davvero fatto diventare un adepta della Klint è la sua coerenza nel tradurre lo spirituale ma contemporaneamente esserlo, incarnarlo direi. Alla sua morte tutta la sua eredità pittorica va al nipote, ma a due condizioni precise e irrevocabili. La prima è quella di aspettare 20 dalla sua morte, prima di esporle in un museo, e qui già capiamo l’ascetismo che prova nei confronti della sua arte.
La seconda condizione mi fa quasi commuovere, perché è davvero raro trovare qualcuno che professi spiritualità senza cercarne almeno in parte, un ritorno materiale. Eppure Hilma af Klint ha messo in atto una strategia perfetta: la sua maestria nella pittura, le permetteva di vivere con la vendita di ritratti e dipinti realistici a carattere naturalistico, come illustrazioni botaniche e paesaggi. Tutte le sue opere astratte, nate invece dalle sue pratiche spirituali, non possono essere vendute. Sia prima, che oggi quindi, nella concezione di Hilma af Klint, economia e spiritualità hanno viaggiato su due binari separati. Ed è molto raro incontrare questa caratteristica nelle moderne forme di spiritualità, sia che si tratti della chiesa cattolica che dei nuovi shamani moderni.
Con questo non voglio criticare chi fa delle sue credenze un lavoro o chi, dedicando tempo e studio a pratiche mistiche, chieda la giusta ricompensa per un servizio.
Penso però che se davvero tutte le voci dei nuovi maestri narrano la nascita di una nuova era, di nuovi strumenti e nuovi paradigmi, allora quelli vecchi (come le pratiche capitalistiche) debbano scomparire dal contesto (spirituale intendo), e che se si sente davvero una missione o un richiamo verso l’invisibile potere delle energie, esse debbano divenire esercizi nel quotidiano, pratiche gratuite verso le persone che si incrociano nel proprio cammino. Mi riferisco alla possibilità di ascoltare, di accogliere, di prestare attenzione, di condividere, di dedicare tempo all’altro, allo sconosciuto, al diverso e di ragionare non solo in termini di ritorno personale (che sia monetario o identitario). Si tratta quindi, di calare le maschere e le controfigure, di scendere da qualsiasi podio e magari cercare di essere se stessi, nel modo più spontaneo e fragile possibile, perché solo così si può entrare in contatto con le energie di ciò che si vede e di tutto l’altrettanto invisibile che abbiamo intorno..
In fondo come è successo a Hilma af Klint, nel tempio della spiritualità, è spesso il minimo sforzo a dare la massima resa.
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