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Questa frase di Paul Klee racchiude parte della sua poetica e si traduce esteticamente nella tecnica del graffito che l’artista usa nel quadro “Fish Magic” del 1925. La superficie del quadro è scura, fondale informe; come prima della creazione e dell’esplosione vitale che fu il big bang: in principio era il buio. Questa oscurità è la materia dell’inconscio, nascosta sotto la facciata delle cose e anche di noi stessi, di difficile individuazione e comprensione, che sembra essere un vero mistero. Conoscere il nostro inconscio, come i segreti dell’esistenza, è azione ardua se non impossibile, eroica sfida che non tutti ci apprestiamo a cominciare. Specchio delle mie brame, quali sono tutti i riflessi del mio reame?
I pesci magici di Klee non pretendono di essere verità ma solo luce che rischiara le tenebre.
Sono abitanti dell’oscuro, creature del subcosciente. L’artista graffia la superficie dell’inconscio e della tela, sotto cui giacciono, nascosti ma vividi, personaggi, piante, colori, forme e visioni. Il senso di questa operazione tecnica è salvifico e vitale, dimostrando come, nell’abisso del mare e dell’oscura ignoranza, ci siano piccoli animali luccicanti che smuovono le acque e seguono le correnti. I pesci sono desideri, storie e racconti, bagliori di idee e ideali, sogni notturni che emergono dalla notte buia. Sono giochi che sguazzano nella densità dell’esistenza, sono fantasie colorate e bambine, impulsi che, in modo conscio o inconscio, guidano le speranze e le azioni della gente.
Bisogna credere o no a questi pesci? A queste forme vitali esotiche ed esoteriche?
Il punto cardine di queste manifestazioni è che ai pesci non interessa di essere creduti; la loro esistenza non è determinata dall’accettazione esterna. Crediamo di vedere e controllare tutto, di avere il quadro completo delle cose, ma nel profondo del mare, dell’inconscio e dei secoli trascorsi della vita, giacciono essenze e coincidenze di cui siamo completamente all’oscuro: pesci mai visti, rari e preziosi animali. Pensi di conoscere ogni centimetro di ciò che sei ma dimentichi che esiste, nella zona più nascosta e indissolubile di te, un pesce lumaca che agita la coda e che, per quanto sia relegato giù, in un luogo inarrivabile dall’intelletto, rilascia gelatina e pensieri viscerali. Hai scordato, poi, di quel sogno lontano, rimasto infanzia e chiuso in una bolla, che altro non era che la boccia di un pesce e il sogno sta li, un pesce vipera che gira e rigira nella sfera e ogni tanto mostra i denti; tu ne percepisci solo i bagliori senza forma, perché hai tirato giù la serranda e l’oscurità ha riempito la stanza.
Proprio quando tutto è buio e silenzioso, però, è più facile vedere la luce, percepire movimenti, sentire fruscii; bisogna solo abituare i sensi all’oscurità. Ci vuole un po’ di tempo e all’inizio è fastidioso perché si ha l’impressione di rimanere ciechi; ma, quando ci si abitua, si può davvero attraversare il buio, ci si può anche nutrire di quel buio. Scintillano le squame, gorgogliano le bollicine in trasparenza, niente è davvero chiaro, ma tutto sembra in realtà completo: un quadro preciso che si potrebbe sgraffiare ancora un po’, ancora fintanto che siamo vivi e decidiamo di voler conoscerci un pochino di più.
Cosa farne di questi pesci? Bisogna pescarli e portarli a galla oppure lasciarli nascosti nel fondale marino? Sicuramente è importante preservare il loro essere selvaggi e strani, non costringerli in acquari illuminati dal sole né servirli come portata principale durante il pranzo della logica. Proprio nella loro natura irrazionale, bruttina e anomala risiede il loro potere e la chiave che possiamo utilizzare per chiarire la nostra essenza. I pesci bisogna guardarli, lasciandosi ipnotizzare dal loro regolare ed incessante nuotare: una meditazione, una ripetizione continua che permette in ogni momento di scoprire qualcosa in più su di loro. Bisogna osservarne i bagliori che ci guizzano davanti e che velocemente scompaiono perché sono luci intermittenti che rischiarano momentaneamente le parti oscure di noi. Sono mezzo per vedere negli angoli bui dell’essere.
I pesci non sono immobili e nuotano da te verso di me e viceversa; hanno perfino trovato una corrente collettiva, che approssimativamente ci passa tutti attraverso e collega credenze e pensieri comuni. I pesci ti conoscono ma non ti giudicano e per questo non vogliono confini che li delimitino. L’oscurità è la loro casa, anche se non gli dispiace ogni tanto di essere ripescati e di poter far brillare la loro essenza come un fulmine a ciel sereno, come un eureka, come un raggio di energia che risale lungo la spina dorsale ed esplode nel cervello, come il flusso elettrico della corrente che nuota lungo i cavi della luce. I pesci sono così, nuotano, boccheggiano, danzano nel loro flusso, l’oceano immenso è la loro casa e non hanno paura dell’assenza di muri e confini. Anzi, è nella sfericità del globo che sentono meglio la libertà di poter esserci oggi e domani no, di potersi allontanare eternamente, consapevoli di ritrovare sempre la via del ritorno perché negli oceani dell’inconscio il viaggio è circolare.
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