Ho iniziato a sperimentare l’arte astratta da poche settimane, una manciata di ore, che ho vissuto come una terapia senza scopo: non so cosa dovrei guarire e non mi affido ad una formula prescritta.
L’idea di base era quella di approcciarmi al nuovo senza la pressione della prestazione, della finalità o del giudizio. Nessun voto e nessuna pretesa di arrivare a un finale perfetto.
Questo lo dico da persona che spesso soffre il confronto con il foglio bianco, il confronto con il pubblico e, ancor di più, il confronto con il proprio io, perfezionista e performante. Questa volta ho deciso di seguire la mano, piuttosto che il cervello; lo scopo è bypassare il conscio e la razionalità che si porta dietro: distrarre il guardiano per poter accedere al regno magico di ciò che siamo senza esserne coscienti.
In questo senso l’arte astratta è un campo libero e di libertà, uno spazio dell’arte che non ha la pretesa del realismo, della forma che coincide con il modello. Nessun recinto specchiato che ci faccia sentire continuamente osservati e giudicati, questo dovrebbe essere lo scopo.
Questa pratica permette all’inconscio di affiorare lentamente, di prendere piano il posto della coscienza e liberare creature e visioni, aiuta a vomitare fuori di noi gli elementi accumulati negli anni dal corpo, dalla mente e dallo spirito. Tutti i rumori ascoltati e le immagini viste e pensate, tutti i segmenti del nostro vissuto, nell’arte astratta si smembrano in componenti distinte, nelle cellule del nostro essere, materiale e immateriale, trasposte in pittura.
Come se potessimo liberare impulsi, non perfettamente identificabili in una forma, che sono stratificati in noi e che, gesto dopo gesto, si manifestano.
Posso dire sinceramente che non ho mai apprezzato totalmente l’arte astratta fino ad oggi, fino a quando non ho potuto sperimentarla io stessa; probabilmente l’avanzare degli anni aiuta l’accesso a questo tipo di linguaggio.
L’arte per me è sempre stata il mezzo politico, creativo e anche salvifico dell’esistenza, ma la interpretavo in modo forse troppo razionale e lineare, perché ero ancorata ad una visione della vita di questo tipo: azione-conseguenza. Non avevo ancora sperimentato i misteri, i silenzi, i vuoti, le incomprensioni che gli anni, le relazioni con l’altro, con noi stessi e lo scontro con il mondo ci portano a vivere. Forse l’arte astratta mi sembrava banale, pretenziosa e facile; sicuramente meno interessante di altre, perché mi sembrava che non avesse molto da dire all’infuori dell’estetica dura e pura, che ai tempi associavo all’apparenza e all’apparire.
Ho creduto che artisti astratti fossero meno capaci di esprimere qualcosa, che non avessero profondità o spessore per comunicare chiaramente dei messaggi, forse che non ne avessero il coraggio. Ero più idealista e forse anche più coraggiosa e credevo di poter vedere e capire, in modo così diretto. Adesso ho realizzato che probabilmente l’arte astratta si fa più per se stessi che per il mondo, come una vera e propria terapia che aiuta a svuotarci dagli accumuli in eccesso. Sospetto che artisti mondialmente riconosciuti, abbiano iniziato ad astrarre per il senso di liberazione e i benefici che traevano da questa pratica.
L’arte astratta trova le sue radici nelle avanguardie artistiche del XX secolo, in particolare nel movimento dell’astrattismo, che cercava di liberare l’arte dai vincoli della rappresentazione figurativa. Artisti come Vasilij Kandinskij e Kazimir Malevič hanno sostenuto che la pittura e la scultura dovessero essere indipendenti dalla realtà visibile e che dovessero comunicare il mondo interiore delle emozioni, delle sensazioni e delle idee. Attraverso l’uso di forme geometriche, gesti spontanei e colori vibranti, gli artisti astratti cercano di evocare emozioni primordiali, stati d’animo o concetti complessi che possono sfuggire alle parole o alle immagini figurative.
L’arte astratta ha rappresentato una svolta nell’evoluzione dell’arte moderna e ha sfidato anche il nostro modo di percepire il reale, le nostre limitazioni cognitive, chiedendoci di abbracciare l’ambiguità, l’incertezza e l’imperfezione. In questo contesto l’arte diventa un mezzo per esplorare e comunicare l’inconscio, il trascendente e l’ineffabile e ci invita a guardare oltre la superficie delle cose, a indagare le molteplici dimensioni della realtà.
Vasilij Kandinskij è spesso considerato il padre dell’arte astratta, nonostante la storia ci abbia poi svelato nel 1986 che la prima vera artista astratta fu Hilma af Klimt, di cui ho raccontato qui .
Kandinskij ha teorizzato sulla pittura come espressione puramente emotiva e spirituale, sperimentando la traduzione del suono in forme geometriche e colori vivaci. Le emozioni diventano una parte fondamentale nell’esperienza artistica.
Kazimir Malevič è famoso per aver introdotto il movimento del suprematismo, che cercava di rappresentare il “puro sentimento” attraverso forme geometriche astratte per ridurre l’arte alla sua forma essenziale.
Piet Mondrian ha sviluppato il movimento neoplasticista. Le sue opere si concentravano sull’utilizzo di linee orizzontali e verticali, combinando colori primari e forme geometriche elementari per rappresentare l’armonia universale.
Jackson Pollock è famoso per il suo stile “dripping” (gocciolante). Utilizzava il gocciolamento, lo spruzzo e il lancio del colore sulla tela in modo spontaneo, creando opere che rappresentavano l’energia e il movimento.
Mark Rothko è noto per le sue grandi tele caratterizzate da campi di colore intensi e vibranti. Le sue opere cercavano di evocare emozioni profonde e spirituali, invitando lo spettatore a immergersi nelle dimensioni emotive dell’esperienza artistica.
Joan Miróha sviluppato uno stile unico e riconoscibile, caratterizzato da figure e simboli astratti. Le sue opere combinano linee organiche, forme geometriche e colori vivaci per creare un linguaggio artistico personale che esprime il suo mondo interiore e la sua connessione con il subconscio.
Più si cresce e più si apprezza l’arte astratta, perché più si cresce e più ci si abitua a fare i conti con l’incertezza, con l’ambiguità della vita, con i misteri del cosmo: disegnare arte astratta mi fa credere di poter rivelare quei misteri sulla tela, di poter esprimere l’invisibile e l’incomprensibile, quella parte di me che non conosco e non capirò, probabilmente, mai. Nonostante io possa tirare fuori di me quei pezzetti, però, essi restano un vocabolario intraducibile. Cos’è per me il giallo? E il cerchio? E la macchia? Perché erano in me e da dove provengono?
Ma è davvero così importante saperlo?
Più si cresce e più tutto questo diventa accettabile e tollerabile: ci sono sfumature delle cose e delle persone che non ci è dato capire o scoprire; accettare che le risposte che i modelli sociali, la storia o la religione ci offrono, sono comunque parziali e fondamentalmente incerti.
Più vivo e più mi accorgo di non sapere nulla della vita e probabilmente di me stessa, perché azione-conseguenza è un modello troppo semplicistico per capire davvero chi sono e da dove provengo. Ci sono talmente tanti fattori e variabili nel tempo, negli accadimenti, negli esseri viventi, nelle relazioni tra le cose, che poter tracciare esattamente il mio percorso di provenienza, sarà sempre un’analisi parziale. E credo che questo valga per tutto.
Arriva un momento della vita in cui questa operazione perde di importanza e si smette di lottare contro se stessi; si comincia a darsi il permesso di essere semplicemente per quel che si è, rosso, verde, quadrato o punto che sia. Si accoglie l’imperfezione, la rabbia, la mancanza e la deficienza, si accoglie il rancore, come d’altra parte si accetta il naso storto o la voce stridula, le ginocchia ad X e il neo enorme sulla faccia. Sono cose che o si accettano o si cambiano, perché tutte le parti di noi, anche se spezzettate e analizzate, anche se rese forme e colori, sono il nostro bagaglio e fardello. Sono i nostri compagni di viaggio.
Per questo credo che l’arte astratta sia praticata a beneficio dell’artista e la composizione segua le necessità della persona sensibile che crea muovendosi liberamente nello spazio.
Ciò che ritroviamo sulla tela e che ci apprestiamo ad osservare è l’espressione del campo percettivo di qualcuno che non conosciamo, anzi di un mistero vivente, in cui le assi X,Y,Z non sono rintracciabili.
Siamo pile elettriche che accumulano scintille, siamo contenitori di vita. Se riusciamo a restituirla in modo scomposto ma unito e vibrante attraverso gli attrezzi dell’arte, possiamo filtrare e ricomporre i pensieri in modo salvifico.
L’arte astratta è un buon modo per riporre lo stress fuori. Per questo più si cresce, più si impara ad apprezzarla.
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