Hieronymus Bosch e la nostra infinita lotta tra bene e male

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Non accetto che l’essere umano continui ad aggrapparsi fortemente alle dicotomie, alle opposizioni, alle guerre, scontri dovuti a una mancata intenzione verso la risoluzione. Non accetto neanche perché molte persone temano il confronto,  opinioni diverse, e in una perenne azione di difesa personale, si convincono che il confronto equivalga  a uno scontro. Ma non è così.

confronto

/con·frón·to/

sostantivo maschile

1. Giustapposizione materiale o ideale compiuta a scopo di valutazione.

“fare un c. tra due resoconti”

scontro

/scón·tro/

sostantivo maschile

1. Incontro ostile e violento, con particolare riferimento a combattimenti collettivi o individuali.

“uno s. a fuoco tra banditi e carabinieri”

Non accetto che il motivo di tutta questa umana confusione mentale, è il principio per cui la maggior parte delle persone vuole avere ragione, senza considerare cosa questo implichi o a quali perdite l’imperterrita testardaggine può condurre, né senza spesso ascoltare, l’altro o se stessi. Per questo, nel susseguirsi dei secoli e delle culture, gli istinti umani sono cambiati davvero poco e così anche quello di inseguire la ragione, che ha perpetuato fino a noi usanze oscene come la guerra.

La guerra non è mai finita, è da sempre stata qua con noi, a volte lontana, a volte più vicina, a volte raccontata e a volte taciuta. Non ci credo ancora nella possibilità di pace, fintanto che la definizione di pace sia questa:

pace

/pà·ce/

sostantivo femminile

1. La situazione contraria allo stato di guerra, garantita dal rispetto dell’idea di interdipendenza nei rapporti internazionali, e caratterizzata, all’interno di uno stesso stato, dal normale e fruttuoso svolgimento della vita politica, economica, sociale e culturale.

“la p. romana”

La situazione contraria allo stato di guerra

Il linguaggio descrive e crea, è alla base della nostra civiltà, ma sembra che per la definizione di “pace” non esista capacità umana fantasiosa o creativa, e per poterla raccontare, ci si debba aggrappare al suo contrario. Che spavento. Sforziamoci tutti un momento, e proviamo a descrivere che cos’è la pace. L’inconscio collettivo ha bisogno di un booster del genere, altrimenti finiremmo come quei mostriciattoli nei quadri di Bosch, personaggi che hanno fattezze mezze umane e mezze bestiali, ognuno intento a vivere la propria condanna in solitudine, in totale distanza dall’altro.

Hyeronimus Bosch, utilizza uno stile surrealista, derivato dallo studio e dalla rielaborazione delle grottesche romane, come metafora, simbolismo per raccontare la disgrazia umana del “voler sempre avere ragione”, l’umana volontà di perseverare nell’errore, contrapposta a quella possibilità paradisiaca che avremmo, se solo volessimo, di passare il tempo in un giardino ed essere amore in piena coscienza.   

Un trittico di possibilità

Guardando i suoi trittici, soprattutto il cosiddetto “Giardino delle delizie” vedo il racconto temporale, ma soprattutto il racconto delle possibilità: demoniache, terrene o divine.

Ognuno sceglie di che morte morire, di che pena patire, di che trauma invecchiare nei racconti di Bosch; il nostro libero arbitrio ci rende vittime perenni. Queste creature zoomorfe rappresentano i mali che ci infliggiamo: competizione, rancore, invidia, autolesionismo, mancanza di amor proprio, colpevolizzazione, egoismo, morte… Noi esseri umani sembriamo i più deboli tra le specie, probabilmente lo siamo.

Questo dipende dal fatto che stiamo sempre sull’attenti, in difesa, col piede verso lo scontro con gli altri e con noi stessi; dal fatto che lasciamo che la mente divaghi, trasformando i fatti e la realtà oggettiva, in giganteschi racconti surrealisti Boschiani.

Adoro Bosch per la sua abilità di rendere trasparenti ed evidenti i disagi umani, quelli che noi stessi cerchiamo costantemente di nascondere, camuffare, omettere, per una fittizia ricerca di perfezione e soprattutto, per sembrare perfetti agli occhi degli altri. Allo stesso modo, altre volte, prendiamo questi dolori e vi ci crogioliamo dentro, li amplifichiamo, ce li mettiamo intorno come scudi che con il tempo si induriscono e ci lasciano pietrificati.

Nel guardare i suoi dipinti, siamo stimolati dai dettagli che ci invitano ad osservare per ore le miniature di cui sono composti.  Ma credo che Bosch abbia impostato i suoi trittici anche per stuzzicare e provocare in noi un po’ di quella soddisfazione perversa che l’essere ha nel vedere fallire qualcun altro, nel vederlo cadere nei meandri più bassi dell’umano, allo scopo di sentirsi meglio rispetto alla propria inadeguatezza.

Cercare nell’altro un fine invece che un mezzo

Hieronymus Bosch ha capito molto bene la meschinità umana di ridurre l’altro essere a mezzo, oggetto sconosciuto di cui servirsi per tornaconto personale: lo facciamo nelle relazioni con gli altri quando cerchiamo nella coppia la soluzione alle nostre mancanze, lo facciamo nella relazione con la natura, quando sfruttiamo le sue risorse senza rispetto, lo facciamo nelle relazioni sociali, quando pensiamo solo a noi e non alla comunità e lo facciamo anche verso noi stessi.

All’umano manca educazione sentimentale e soprattutto capire che, ciò che è altro da noi, non è un mezzo ma un fine, qualcosa con cui costruire: un confronto, non uno scontro.

Bosch disegna le mille conseguenze possibili, derivate dallo scontro umano, ma  le motivazioni di questo, sono racchiuse nei simboli codificabili a nostro piacimento. Così, trascendendo le ragioni ma esponendo le conseguenze, Bosch ci fa capire che poco importa il perché di un conflitto, a poco serve sapere chi ha ragione se la fine è comunque una condanna. Corpi appesi, legati, che si torcono e toccano, lame, macchine di tortura, pentoloni.. ma anche un’insaziabile lussuria: tutto descrive l’irrefrenabile necessità umana di primeggiare sull’altro.

Non voglio parlare di cristianità, di inferno e paradiso e di precetti cattolici, perché non credo che Bosch si riferisse a questi quando dipingeva. Le religioni sono da sempre, racconti simbolici di crescita spirituale e i dipinti di Bosch allo stesso modo,  raccontano i vari livelli di coscienza possibili nell’essere umano.

Il vero libero arbitrio è per pochi

Siamo proprio sicuri di sapere cos ‘è il libero arbitrio? E soprattutto, siamo davvero sicuri di riuscire a dominarlo? Credo che l’uomo sia troppo spesso in balia del controllo che crede di avere ma in realtà non ha, perché è effimero e in realtà insensato. Nel vero giardino delle Delizie (il pannello di sinistra) sono in pochi, due + uno, i due sono gli umani e una è la coscienza, “parola divina”, che unisce la dicotomia (Adamo ed Eva) e li rende un trio, un sistema … “così che questo gruppo di tre formi un circuito chiuso, un complesso di energia magica.” (Wilhelm Fränger).

Da qui la mia necessità di non accontentarmi delle scuse, ne delle polarità o del “aut aut”, perché sappiamo dalle filosofie orientali che esiste una terza via, un trittico, un trio che è più delle singole parti.

Definire la pace

Forse la pace può essere definita come creazione: la somma al posto della sottrazione, la mano tesa, la sedia in più, al posto del muro o del ponte fatto saltare in aria. Meglio creare che odiare, meglio aggiungere che togliere, quindi arte è un concetto che almeno in parte, si identifica con l’idea di pace.

Perché nella solitudine e impotenza verso un mondo cattivo che ti ha fatto male, puoi fare come Bosch e farlo emergere  come una fiaba verso l’esterno, oppure assorbirlo ed annegarci dentro.

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Set builder, decorator and graphic designer. She loves looking at art and getting emotional.
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Paola D'Andrea
Set builder, decorator and graphic designer. She loves looking at art and getting emotional.
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