Storie e riflessi dalle acque di Venezia

Biennale 2022

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Per tanto tempo ho avuto pregiudizi sulla città di Venezia,  basati sul fatto che tutto quello che avevo sentito su di lei, fosse caricato di sensazionalismo;  l’avevo sempre catalogata nel mio cervello come come un parco giochi per turisti che mangiano pasta scotta a prezzi esorbitanti.

Dopo averla visitata mi sono resa conto della grande profondità che si nasconde in questo luogo e delle molteplici possibilità che regala a chi, apertamente, si avvicina alla sua anima. L’ho trovata molto più riflessiva di quello che sospettavo e molto meno superficiale di quello che avevo creduto. La sua estetica  è solo il primo scalino di una lunga scala che sembra volerci accompagnare giù, nelle profondità dell’esistere. Le sue acque, che per molti turisti rimarranno solo specchietti per le allodole, possono essere preziosi riflessi di conoscenza per chi davvero è intenzionato ad immergersi.  

Venezia è  una delle città più belle e profonde del mondo ed è per questo che oltre a contenere in sé migliaia di opere d’arte, è essa stessa un’opera d’arte.

Venezia, il paese delle meraviglie

Comincerei col dire che approdare a Venezia è come entrare in Wonderland, dove gli spazi sono collegati tra loro come in un quadro di Escher: un ponte,  una piazza, un viottolo, costeggiare un canale che sembra senza uscita, un altro minuscolo ponte, passare sotto un portico; la verità è che anche google maps si perde a Venezia! Come in Wonderland vi è una quantità di cose che succedono  durante la Biennale (letteralmente ad ogni angolo un esibizione) e anche i negozi di lusso sono dei musei.

La cosa più bella e sorprendente che ho scoperto di Venezia è il silenzio che vi regna ed un’atmosfera metafisica che rallenta tutto e lo immobilizza. La città dell’arte per eccellenza: non per tutte le opere ed eventi che vi si trovano, ma per la possibilità che regala il luogo di stare in osservazione, contemplare, vivere il silenzio e la solitudine in un contesto maestoso e surreale come quello dei canali.  Uscendo dai flussi turistici, ci si ritrova in piazze deserte, vicoli stretti e vuoti in cui la desolazione quasi spaventa. Viaggio nel tempo, senza macchine, solo i passi che rimbombano e la sensazione di poter incappare in un bandito o in un grande artista del passato intento a rimuginare sulla sua prossima opera.

Arte per me non è materia, ma la capacità che esse assume per trasportarci in luoghi e in tempi non per forza definiti ma comunque emozionanti e forse soprattutto al centro di noi stessi, nel silenzio che è dentro di noi. Arte è ricreare una bolla di sensazioni senza tempo, rivivere un momento di secoli fa, connetterci oltre le epoche con altri esseri. Questa capacità di prescindere tempo e storia, fa di Venezia un’opera d’arte.

Nonostante sia una delle città più frequentata dai turisti, Venezia sembra essere un luogo dove la privacy è importante: dove ogni casa ha il suo ponte che la unisce e il suo canale che la separa. Sembra il posto perfetto per mantenere un segreto o nascondere un tesoro, perfetto per un carnevale in maschera…

Se appena sbarcata in città mi ritrovo nel mondo di Alice, quando varco le porte della Biennale 2022, ecco che arrivano il Cappellaio Matto, il Brucaliffo, lo Stregatto e tutto si moltiplica: le epoche, i luoghi geografici, le storie, i materiali, i punti di vista e le culture. Un flusso di sensazioni e intenti che provocano nello spettatore la percezione di avere davanti opere perfettamente collegate tra loro. Forse l’arte è davvero quel luogo dove più si realizza e rappresenta  l’inconscio collettivo.

Venezia 2022

Diventare altri da sé

«La Mostra Il latte dei sogni prende il titolo da un libro di favole di Leonora Carrington (1917-2011), in cui l’artista surrealista descrive un mondo magico nel quale la vita viene costantemente reinventata attraverso il prisma dell’immaginazione e nel quale è concesso cambiare, trasformarsi, diventare altri da sé…”

Questo è l’incipit con cui la curatrice Cecilia Alemani introduce il percorso espositivo, mi basta per capire che la risposta a qualsiasi dubbio sul presente e sul futuro non la si trova in nessuna certezza; anzi, che è proprio il concetto di certezza a dover essere distrutto per far fronte al nostro destino umano. Tutto il percorso dell’arsenale sembra gridarci una cosa sola: dobbiamo smetterla di cercare risposte nella nostra storia ma sforzarci per inventarne di nuove, fantasiose.. proprio come dice Carrington nel suo libro; proprio come Alemani ha cercato di mostrarci attraverso gli artisti del 2022.

In questa Biennale si cerca un po’ di tornare alle origini, anche se queste origini sembrano a tratti visioni immaginifiche poiché la verità sembra sia stata persa tra le tante maschere indossate dagli uomini nei secoli.

Muovendomi tra le opere ho l’impressione di assistere a dei giochi creati con le carcasse della decomposizione dei nostri tempi. Ogni artista utilizza i brandelli di ciò che resta, ovvero miti e archetipi della cultura e dell’inconscio moderno, collezionati nei vari secoli, ormai putrefatti, diventati mostruosi e malati. In questo caso l’arte non si da’ per vinta, e in un perenne approccio ecologista cerca di riesumare questi miti e riciclarli. Speranzosi gli artisti di questa biennale, lavorano in cerca di un po’ della purezza con cui i nostri preistorici antenati li avevano donati al mondo, plasmando le diverse culture.

Forse l’intenzione dell’arte e degli artisti di oggi è quella di ri-creare le nostre origini: origini del nuovo secolo che è postindustriale, postguerrigliero, postideologista, postchimico;  cercare le basi per un ritorno al reale, alla realtà che abbiamo tanto innaffiato con teorie onnipotenti.

Più che trovarci alla fine, la Biennale ci catapulta al giorno zero, quando non ci sono altro che macerie, ma anche la volontà di ricomporre le basi per la ricostruzione di un esistenza nuova, più onirica e volatile, più immaginativa che mai. I nostri antenati raccontavano mondi fantastici, aggrappandosi alle tradizioni orali e alle simbologie rituali. Noi oggi, partendo dalla decadenza del mondo attuale, ci esprimiamo con l’inconscio e i simboli dell’era moderna/contemporanea. Il nostro immaginario estetico è quello dell’era digitale, dei Pokemon, dell’estetica pubblicitaria e dei materiali tecnologici. Questo è il nostro latte primigenio che attraverso l’arte vorremmo tramutare in sogno: leggende del nuovo millennio, racconti più visivi che orali, da usare per trascendere la parte malvagia di ciò che è stato e riutilizzare le migliaia di colori, materiali, teorie, esperimenti e saperi che l’era delle infinite possibilità ci ha regalato.

Questo è il viaggio che mi faccio mentre scopro un‘opera dopo l’altra, emozionandomi alla scoperta di Belkys Ayòn, Portia Zvavahera, Gabriel Chaile, Felipe Baeza, Ruth Asawa, Delcy Morelos, Ali Cherri, Tetsumi Kudo, Elisa Giardina Papa, Solange Pessoa, Barbara Kruger, Precious Okoyomon, Wu Tsang….

Ali Cherri

La metafora Italiana e il suo padiglione.

Durante un aperitivo vista canale, mi è stato chiesto cosa ne pensassi del Padiglione Italia e solo allora ho realizzato quali dinamiche sociali un evento come la Biennale è capace di generare: da maggio ad ottobre è un susseguirsi di aperitivi a base di spritz e opinioni. Così, tanto per calarmi nella parte, ho cercato la mia e mi è venuto da riflettere che il padiglione Italia ha proprio il sapore stantio del nostro paese. La mia, lungi dall’essere una critica, è anzi il riconoscimento a Gian Maria Tosatti di aver reso perfettamente l’atmosfera in cui, da ormai troppo tempo, sono immerse le scelte, le credenze, gli ideali, le politiche del nostro paese.

Fabbriche abbandonate, simbolo di un sogno da cui ormai siamo svegli e che abbiamo anzi trasformato in un incubo fatto di sovrapproduzione, delocalizzazione, cassa integrazione,  tassazione.

La casa spoglia, muri cosparsi di polvere che lascia ancora visibile solo l’impronta di un crocifisso, sovrastante nonostante il vuoto intorno. La “nostra” religione che ha perso tutto, anche la forma fisica, ma rimane segno sul muro, ricordo vuoto che si impone. La nostra “mentalità Italiana” ancora rinchiusa in fabbriche senza legge, muri senza Dio e politiche senza buon senso.

Usciti di casa si arriva al molo, da cui si vedono lucine, che dovrebbero essere lucciole, simbolo del ritorno alla natura, ma a me ricordano più che altro occhi in cerca di fuga; in sottofondo si sentono dei rumori che sembrano motori di barche in partenza. In questo spazio ho personalmente sentito il racconto della clandestinità, quella delle persone migrate ma anche quella del pensiero libero, costretto a scontrarsi o a fuggire, rinchiuso dallo stato bigotto, da un paese dove l’energie delle persone sono obbligate in una lotta continua per la dignità.

Un ‘immagine dell’Italia dove tutto è antiquato, tutto è desolato, tutto è abbandonato; grazie alla richiesta dell’artista di far entrare una persona alla volta, si amplifica il senso di solitudine che si sente di fronte alle logiche repressive che questo paese impone alle persone.

Padiglione Italia 2022

Menzione per la speranza: il presente si trova in Belgio.

Tra tutti i paesaggi onirici, i manufatti surreali e le visioni futuriste, il presente dimora nel padiglione del Belgio, meravigliosamente progettato da Francis Alÿs, artista su cui la mia fiducia ere già ampliamente riposta. Maestro dell’atto pubblico come performance, della sociologia, della semplicità e del linguaggio diretto, Alÿs ci fa uscire dal Paese delle Meraviglie e ci fa atterrare sul pianeta terra, in quei momenti relegati, in cui la meraviglia ancora è possibile: quando i bambini giocano.

La poesia dei suoi video ci insegna il modo in cui insistentemente la caparbietà dei bambini, riesce a ricreare uno spazio sicuro e di pace, anche nei luoghi e nei contesti più bui. Si può giocare con la neve, con gli aquiloni, con gli animali, con l’immondizia e anche con le macerie, l’importante è rimanere convinti che il gioco sia un obbiettivo serio ed importante da raggiungere.

Tutta l’energia artistica di Alÿs sta nel ridare dignità ad una delle attività più importanti ma più minacciate dal mondo odierno: il gioco. Eliminando qualsiasi accessorio, mostra il mondo attraverso immagini del reale che raccontano come le necessità primordiali, a prescindere da tutto, debbano trovare espressione.

Per questo i suoi video diventano immagini della speranza, che vive sola e sola si nutre, anche quando tutto le è avverso, anche quando sembra non esserci rimasto nulla: un bambino che vuole giocare, cercherà sempre il modo di farlo, e pur dovendo lottare contro la fame, la guerra, il tempo, la malattia o l’ignoranza, in qualche modo probabilmente ci riuscirà.

Dopo tanto sognare, una cosa è certa e se volessimo risvegliarci dal mondo onirico del sonno ricordiamoci di questo: Il modo migliore per trasformare i sogni in realtà è proprio giocando.

E se volessimo risvegliarci dal mondo del sonno in cui ci hanno rilegati ricordiamoci che il modo migliore per trasformare i sogni in realtà è svegliandosi.

Francis Aly͏̈s

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Set builder, decorator and graphic designer. She loves looking at art and getting emotional.
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Paola D'Andrea
Set builder, decorator and graphic designer. She loves looking at art and getting emotional.
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